Il vaccino anti-covid19 anche per le malattie autoimmuni?

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Il vaccino anti-Covid19 sta suscitando, nelle ultime settimane, un acceso dibattito sia tra coloro non vedono l’ora di farlo per sentirsi protetti da questa entità sconosciuta (virus), sia tra chi, invece, non si sente affatto sicuro di un vaccino che sembra non dare le necessarie evidenze di efficacia e assenza di pericolosità.

Pochi giorni fa la FDA, Amministrazione Federale dei medicamenti e Droghe americana, ha approvato il vaccino della Pfizer per uso d’emergenza, quindi,  negli Stati Uniti sono  iniziate le vaccinazioni, nonostante per ora sia garantita, dopo la prima dose, una protezione di circa il 50% contro un eventuale contagio dal Covid.

Come possiamo avere la certezza che i nuovi vaccini anti-Covid siano sicuri per la popolazione in generale e, in particolare, come possono non provocare reazioni indesiderate se inoculati a soggetti portatori di patologie autoimmuni?

Sentiamo parlare molto poco di questo argomento, eppure, le malattie autoimmuni sono molto diffuse, soprattutto negli ultimi anni è esploso il numero dei casi, anche in età pediatrica, e appare onestamente poco chiaro  che vengano valutati i possibili effetti collaterali per i soggetti allergici e non vengano prospettate le stesse problematicità e precauzioni per i soggetti autoimmuni.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/09/gran-bretagna-stop-al-vaccino-per-chi-ha-avuto-in-passato-significative-reazioni-allergiche/6030703/

Come possiamo non essere preoccupati, sapendo che i vaccini per definizione sono nati proprio per provocare una reazione del sistema immunitario, quando i portatori di autoimmunità hanno già una immunità iper-reattiva e dis-regolata? I dubbi oltre che ad essere legittimi da parte dei pazienti dovrebbero trovare nella comunità scientifica una attenta e precisa considerazione, che ancora tarda ad arrivare.

E’ altresì vero che chi  è sottoposto a terapia immunosoppressiva potrebbe essere esposto in modo assai più pericoloso a infezioni virali e batteriche, quindi è necessario chiarire se sia più importante evitare che contragga il virus e le sue complicazioni oppure scongiurare gli effetti collaterali del vaccino che ancora sono un’incognita.

Una domanda che mi pongo, e alla quale non trovo risposta nemmeno da parte di articoli super specializzati in materia immunologica, è: se si sottopone a vaccino un paziente immunosoppresso il suo sistema immunitario sarà in grado di produrre la risposta anticorpale voluta e sperata oppure presenterà delle possibili alterazione e anomalie?

Se il paziente vuole fare il vaccino dovrà interrompere i trattamenti con farmaci biologici e con gli immunosoppressori oppure no?

Tutti questi temi, per la loro importanza, meritano di essere affrontati in modo serio, senza che ai numeri vengano attribuiti significati di comodo solo per rassicurare la popolazione in modo frettoloso e superficiale per fare una vaccinazione di massa; mi riferisco al fatto che gli esperti, da una parte, precisano  che “le reazioni anafilattiche sono una possibilità molto rara”, dall’altra parte si legge che «In caso di allergie basta avere a disposizione il cortisone»  (così hanno dichiarato infettivologo Roberto Cauda (direttore Uoc Gemelli) e l’ex capo di Ema Guido Rasi)

Sulla possibilità che il vaccino anti-Covid venga effettuato anche da chi ha patologie autoimmuni, interviene l’immunologa dell’Università di Padova, Antonella Viola, dichiarando, in un post sulla sua pagina ufficiale Facebook, che  “teoricamente non ci dovrebbero essere problemi, anche se in alcuni soggetti questi vaccini inducono una forte infiammazione e quindi un minimo di cautela è necessaria. Ma ci tengo a ricordare che, a differenza dei vaccini, i virus sono dei noti attivatori di malattie autoimmuni e che tra vaccino e infezione è sempre meglio il primo, anche per un paziente autoimmune“. Poi però aggiunge che “Nel 2019 sono state pubblicate le raccomandazioni per le vaccinazioni nei pazienti adulti e con patologie autoimmuni (Eular 2019). E si scrive chiaramente che la vaccinazione antinfluenzale è fortemente consigliata nella larghissima maggioranza dei pazienti. Così come quella anti-pneumococco – rimarca l’immunologa – Per quanto riguarda la vaccinazione anti-Covid non sappiamo ancora cosa si deciderà di fare. Non abbiamo esperienza di vaccini basati su mRna nei pazienti con autoimmunità”.

Questa spiegazione non solo non può essere soddisfacente, ma è addirittura evasiva, e contraddice tutta un’altra serie di raccomandazioni e studi che negli anni hanno evidenziato un legame tra vaccini e sviluppo di patologie autoimmuni anche molto gravi.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5607155/

A me sembra molto strano che ci sia questa premura di consigliare i pazienti autoimmuni e immunodepressi affinchè  continuino e fare le terapie perché “non sembrano evidenziare maggiori rischi di forme severe di covid-19” , visto che finora le indicazioni al proposito sono state spesso opposte e molto più prudenti.

https://www.medicalfacts.it/2020/06/05/coronavirus-pazienti-malattie-autoimmune/

La comunità scientifica sembra più preoccupata nell’affrettarsi a iniettare le prime dosi che a prevenire eventuali reazioni anche gravi; il fatto che i primi a ricevere il vaccino siano gli anziani non rendere questa operazione meno delicata anzi come sottolinea la Dott. ssa Barbara Balanzoni, un medico chirurgo specialista in anestesia e rianimazione, che interviene spesso in materia “i volontari della sperimentazione del vaccino anti Covid erano sani, non erano persone con molte comorbilità come gli anziani più fragili che dovranno vaccinarsi per primi”

Altro punto da chiarire resta quello degli effetti del vaccino a lungo termine, l’unica cosa che sanno dirci gli esperti in materia è che “Sugli effetti collaterali a lungo termine, non c’è farmaco e non c’è vaccino su cui possiamo dire a priori ‘non mi farà male tra 10 anni’ (professor Massimo Galli).

Possiamo ritenerci soddisfatti di ciò? Direi proprio di no.

Sul punto vi consiglio di leggere questo libro di Heinrich Kremer,  uno tra gli scienziati attualmente più autorevoli nelle ricerche contro le patologie degenerative come il cancro, l’AIDS e i danni da vaccinazione. Kremer è medico con dottorati in medicina, psichiatria e neurologia, con alle spalle anche studi di psicologia e sociologia. La sua carriera di ricercatore dissidente inizia nel 1982 quando gli viene affidata la prima prova clinica in Germania del vaccino antiepatite B e qualche mese dopo quella del test per gli anticorpi dell’HIV. Dopo anni di disaccordi con l’amministrazione dello Stato per la politica sulle droghe e sull’AIDS, si dimette ed inizia una difficile attività di ricercatore indipendente che lo porta a straordinarie scoperte nell’ambito dell’AIDS, del cancro e dell’immunoprofilassi artificiale.

 

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